Condividi

Tempo di lettura: 3 minuti

L’intervento di Angelo Junior Avelli, rider del sindacato autonomo Delivrance Milano, sulla sicurezza per i rider per il secondo simposio della Fondazione Centro Studi Doc dedicato a “Nuove professioni, nuovi lavori: lo stesso diritto alla salute e sicurezza”.

Il grande problema del pagamento a cottimo

Il primo problema con il quale i rider si scontrano a livello pratico sul tema della sicurezza è il pagamento a cottimo. Guadagnamo se consegniamo, più corriamo più siamo pagati. Il nostro tempo per le aziende non ha valore, se non riceviamo una consegna, non veniamo pagati, non abbiamo un minimo garantito, solo a Just Eat e a My Menu dove sono stati introdotti pagamenti orari (anche se in deroga ad un protocollo integrativo del CCNL Logistica) e a Getir dove c’è la piena applicazione del CCNL Terziario, non a Deliveroo, a Glovo e a Uber.

Il meccanismo è quello del ricatto perpetuo della performance tramite l’algoritmo, che valuta la nostra efficenza assegnandoci un punteggio (rating) e una classificazione (ranking) in base alla quale veniamo selezionati in ordine di priorità per poter ricevere più corse. 

L’assenza di una normativa chiara, anche per gestire la sicurezza per i rider

L’altro problema è che sia la politica che la Procura (di Milano) non hanno chiarito in maniera lapalissiana il quadro normativo generale sui lavori come il nostro. Esistono dei riferimenti, come la legge 81 e la legge 128 (la cosiddetta “legge rider” ottenuta da noi tramite le mobilitazioni), la sentenza della Corte di Cassazione sul processo Foodora e altre sentenze come quelle di Bologna, di Palermo, di Milano e di Firenze, che segnalano un orientamento, ma non indicano in maniera incontrovertibile quale sia la situazione: in teoria i lavoratori di piattaforma come noi risultano essere lavoratori eteroorganizzati, assimilabili ai lavoratori subordinati ci spetterebbe il riconoscimento dei diritti della subordinazione (la disciplina del lavoro dipendente), secondo la legge 81, almeno, in pratica ci sarebbe poi la legge 128 che dice che ai rider va applicato uno schema retributivo in linea con i contratti collettivi nazionali firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi. Formalmente i rider risultano autonomi anche se non lo sono e questo permette alle aziende allo stato attuale di inquadrarci come collaboratori occasionali o freelance a partita iva e di pagarci a prestazione (a cottimo). È chiaro che è una situazione davvero borderline.

Il punto è che Glovo, Deliveroo e Uber hanno fatto un accordo capestro con UGL e hanno fatto rientrare il cottimo dalla finestra, attraverso una forma di pagamento per ora lavorata calcolando 10 euro lorde su un’ora (in cui viene retribuita la stima del tempo in cui un lavoratore esegue quella determinata consegna, stima dinamica con la quale viene realizzato dumping sociale da un territorio all’altro e sui lavoratori nuovi rispetto ai più anziani, con un gioco continuo di tagli al ribasso). Il quadro generale seppur semplice e lineare ai nostri occhi rimane intricato, per noi si tratta di lavoro subordinato in maniera inequivocabile perché sono le aziende che al lavoratore indicano le modalità di svolgimento della prestazione, nel tempo e nello spazio, ma il dibattito resta aperto. 

Come garantire sicurezza per i rider?

Che cosa si può fare per favorire la sicurezza sul lavoro nel nostro settore, posto che andrebbe abolito il cottimo domani mattina? Il Comune di Milano su base volontaria ha incentivato corsi di formazione e di sicurezza stradale. La Procura di Milano con la sua indagine, dopo aver minacciato le piattaforme di essere multate pesantemente le ha costrette a fare corsi online ai lavoratori inerenti alle tematiche di salute e sicurezza e di igiene alimentare, intimando alle app di fornire i dispositivi di protezione individuale (un altro risultato ottenuto in realtà grazie alla legge rider in cui si fa ricadere sulle società le responsabilità di datori di lavoro in materia antinfortunistica). Tutto molto bello, ma non basta. 

Bisognerebbe da una parte costringere le società, anche a livello locale a negoziare il funzionamento dell’algoritmo, che deve divenire materia di contrattazione sindacale (su questo tema c’è in corso una discussione che stiamo seguendo in Europa sulla Direttiva del lavoro di piattaforma) e spingere le società ad aumentare il livello di sorveglianza fisica che devono garantire sul territorio, rendendo sempre più esplicito il nesso di dipendenza che lega i rider alle aziende, costringendole a controllare lo stato dei cassoni, i box portavivande dei rider quotidianamente e a prendersi in carico la pulizia non a lasciarla in carico ai fattorini, demandandone l’adempimento, dal momento che la divisa e il box sono brandizzati, sono materiale dell’azienda. Bisognerebbe verificare che esista una corrispondenza tra persona fisica e account digitale e chi lavora (in contrasto al fenomeno sommerso del caporalato),  predisporre un garage a livello locale dove i rider possono depositare il loro mezzo, attraverso un sollecito che porti le società a creare presidi territoriali in cui verificare le caratteristiche dei mezzi di locomozione elettrici (spesso al di sopra degli standard concessi dalla legge). Tutto questo deve ricadere sulle aziende, che sono state ormai identificate come i datori di lavoro, in maniera tale che le aziende siano responsabili realmente della sicurezza sul lavoro dei lavoratori e non soltanto a parole o una volta nei tribunali, incentivando la contrattazione territoriale e il rispetto delle norme.

Scopri il simposio a questo link.


Condividi