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Tempo di lettura: 5 minuti

Nell’ultima puntata di WoW – Women on Web andata in onda il 27 giugno per Radio Activa, Federica Meta e Francesca Pucci hanno intervistato Francesca Martinelli. Con la direttrice della Fondazione Centro Studi Doc si sono confrontate sulle piattaforme cooperative e su come sconfiggere il soffitto di cristallo per cui tante donne non accedono a posizioni apicali.

Ascolta il podcast.

Francesca, cos’è il cooperativismo delle piattaforme e perché può essere una valida alternativa al capitalismo delle piattaforme?

Come avete già ricordato, il neologismo platform cooperativism è stato introdotto nel 2014 come contro-narrazione alla degenerazione del capitalismo delle piattaforme. Con l’economia di piattaforme osserviamo infatti nuove forme di sfruttamento dei lavoratori, pensiamo ai rider. Ci sono poi la concentrazione ed estrazione delle ricchezze, l’impiego opaco di algoritmi e dati. Inoltre, spesso capita che le società che si trovano dietro le piattaforme sfruttano regimi fiscali favorevoli anche tramite l’attraversamento utilitaristico dei confini nazionali.

In contrasto con questa visione centralizzata dall’alto, una piattaforma cooperativa parte dal basso; è infatti costituita da lavoratori, consumatori o enti che insieme decidono di fondare una cooperativa per avere il controllo democratico e la proprietà condivisa dei mezzi di produzione – in questo caso la piattaforma. Una piattaforma cooperativa è quindi un’impresa cooperativa, caratterizzata dalla proprietà condivisa e dalla governance democratica, in cui l’uso delle tecnologie digitali supporta il consumo, lo scambio e la produzione di beni e servizi all’interno di una comunità, massimizzando anche la generazione e la distribuzione del valore.

Concentrandoci sul versante organizzativo, nelle piattaforme cooperative c’è una coincidenza tra proprietari della piattaforma e lavoratori o consumatori. Questo significa che a differenza delle piattaforme classiche, i lavoratori e i consumatori hanno un controllo completo sui prodotti e servizi della piattaforma, sui prezzi e sulle tariffe, sulla governance e sull’uso dei dati personali. In sostanza, le persone non sono sfruttate dalla piattaforma digitale, poiché la controllano.

Di conseguenza, anche il modello economico utilizzato non è come quello delle piattaforme classiche, che estraggono valore dalla relazione che intermediano sulla piattaforma. Nelle piattaforme cooperative, infatti, quando la piattaforma viene ottimizzata, il plusvalore che si genera ricade sui proprietari della piattaforma, sempre lavoratori e consumatori. In questo modo, si precludono le possibilità di speculazione e, mutualizzati i costi di gestione, la ricchezza viene redistribuita. 

Chiudo con alcuni esempi in Italia di cooperative che potete cercare: cooperative di lavoratori di spettacolo, cultura e creatività della Rete Doc, la cooperativa di taxisti CoTaBo, Fairbnb che si occupa di turismo sostenibile o ancora Robinfood, creata da un gruppo di rider.

Che ruolo può svolgere una realtà come Pico per immaginare e realizzare modelli di produzione diversi?

La Fondazione PICO è il Digital Innovation Hub di Legacoop nazionale. Creata anche con il contributo di Coopfond, la fondazione è il primo Hub digitale dedicato alla trasformazione digitale delle cooperative italiane e alla introduzione dei valori cooperativi nel mondo digitale. 

Per raggiungere questi obiettivi la Fondazione PICO ha messo in campo tre azioni principali:

  1. La prima è quella di creare una nuova cultura imprenditoriale mutualistica attraverso il lavoro del Comitato Scientifico e dell’Advisory Board PICO, del quale faccio parte. Il nostro compito è quello di fornire le fondamenta teoriche e di orientamento pratico utili a una gestione cooperativa di tecnologie e dati, che per sé sono neutri e che quindi hanno bisogno di essere guidati dall’alto. 
  2. Come la maggior parte delle imprese italiane, le cooperative sono poco digitalizzate e quindi sono al contempo curiose e diffidenti verso l’innovazione in questa direzione. Serve pertanto un percorso mirato di avvicinamento al digitale. Per questo PICO, e questa è la seconda azione, si impegna per diffondere la conoscenza su strumenti e processi innovativi mettendo a disposizione contenuti, corsi online, webinar gratuiti e organizzando convegni dedicati. 
  3. Infine, PICO accompagna le imprese cooperative, a partire da quelle più piccole, nella progettazione e realizzazione di nuovi progetti, mettendo in relazione partner qualificati (come imprese innovative, Competence Center, Atenei e Centri di ricerca) con le imprese che sono alla ricerca di nuove piste di innovazione digitale. In questo quadro, rientra anche il progetto di digitalizzazione delle cooperative che l’Alleanza delle Cooperative Italiane, di cui fa parte anche Legacoop, sta portando avanti con Google.org, la divisione filantropica di Google, che ha investito 3,5 milioni di euro in questo progetto.

Un’occasione che la Fondazione PICO, secondo me, dovrà sicuramente cogliere è relativa alla gestione dei dati, soprattutto ora che in Unione europea è stato introdotto il concetto di cooperativa di dati. Una cooperativa di dati è un nuovo strumento giuridico che permette di gestire in forma cooperativa una grande mole di dati forniti da stakeholder anche di stati diversi. La cooperativa di dati consente la raccolta e l’organizzazione centralizzata dei dati e si occupa di gestire il loro utilizzo, eventuali controversie e produrre analisi e report. Vi cito un esempio, cioè la European Data Cooperative.

Veniamo alla domanda core del nostro podcast. Le donne faticano a salire nei ruoli apicali, in politica come nelle aziende. Qual è la situazione nel mondo cooperativo e come sfondare il tetto di cristallo?

Considerando i dati pre-pandemia, nel mondo cooperativo le donne sono oltre la metà degli impiegati (60%) ma sono ancora sottorappresentate nei consigli di amministrazione e nei ruoli apicali, dove sono circa un quarto (24,8%). Se consideriamo le imprese femminili, cioè quelle in cui sono più numerose le donne rispetto agli uomini, le cooperative si attestano nella media del mercato, con circa un quinto (20,9%) delle imprese a maggioranza femminile rispetto al totale.

Nel mondo cooperativo, così come nella maggioranza delle imprese italiane, si è visto che l’ingresso delle donne nei consigli di amministrazione ne modifica in positivo le caratteristiche: abbassa l’età media dei membri, innalza la quota di laureati e aumenta la diversificazione dei profili professionali. Eppure, anche nel mondo cooperativo, servono ancora le quote rosa per i consigli di amministrazione e, in generale, le donne faticano di più a raggiungere posizioni apicali a fare carriera.

Sul perché potremmo parlarne per ore, ma visto che mi avete chiesto di concentrarmi sulle soluzioni provo ad andare in questa direzione. 

Parto dalla mia esperienza personale, poiché sono da 4 anni nel consiglio di amministrazione di Doc Creativity, una cooperativa che riunisce professionisti e professioniste della creatività. Penso che sia fondamentale trovarsi in un ambiente aperto, che dia valore anche a prospettive diverse e capace di dare fiducia, andando oltre i pregiudizi che nelle imprese italiane di solito riguardano le donne e i giovani, figurarsi le giovani donne. Certo, essere in un consiglio di amministrazione significa farsi carico di responsabilità e accettare dei rischi e quindi per me vuol dire continuare a studiare, anche molto, per essere all’altezza delle decisioni da prendere e poter fornire una prospettiva consapevole e costruttiva.

Guardando un po’ oltre la mia esperienza personale, molti studi mostrano che il modello cooperativo può essere particolarmente interessante per le donne (ILO). Ad esempio, numerose ricerche dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro evidenziano quanto le cooperative siano capaci di supportare l’empowerment femminile e la parità di genere.

Con questo sguardo, anche in Doc Creativity stiamo perfezionando un percorso di supporto all’imprenditoria femminile e abbiamo capito che per far crescere le donne serve un mix di flessibilità, tutele e percorsi di mentorship. Per questo a tutte le imprenditrici offriamo l’opportunità di diventare socie e dipendenti della cooperativa, garantendo loro quindi l’accesso alle protezioni sociali, ma senza che perdano la libertà organizzativa del freelance. In cooperativa, le imprenditrici entrano anche in una comunità di pari in cui possono confrontarsi con altre persone che stanno facendo un percorso simile, attivare nuove possibilità di networking e trovare nuove opportunità di lavoro.

Certo, questo progetto da solo non può risolvere tutte le difficoltà che riguardano donne e lavoro in Italia, ma intanto posso dirvi che oggi sono oltre 250 le imprenditrici hanno scelto di lavorare con noi.


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