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L’8 novembre la Fondazione Centro Studi Doc ha partecipato a Bologna all’evento “Imprese Bestiali! Visioni imprenditoriali tra mutualismo, sostenibilità e economia circolare” dedicato a nuove metafore d’impresa oltre l’utopia neoliberista. Di seguito la sintesi della lezione di Francesca Martinelli, direttrice della Fondazione Centro Studi Doc, dedicata all’inventario delle bestie utilizzate per descrivere le imprese.

Il ruolo del mito nella società e l’utopia neoliberista

I miti hanno sempre offerto all’umanità strumenti per comprendere il mondo, affrontare paure e orientare comportamenti. Miti antichi come quelli naturali sono stati progressivamente sostituiti da spiegazioni razionali, ma il loro potere persiste, ora utilizzato a sostegno di ideologie o utopie, come il neoliberismo.

Il neoliberismo promuove l’idea che la libertà economica favorisca il progresso sociale, favorendo mercato libero, privatizzazione e responsabilità individuale. Il mito della Silicon Valley esemplifica questo modello, rappresentato dal self-made man che, grazie all’intraprendenza, può diventare miliardario. Questo ideale si incarna nel concetto di “unicorn company” (startup da oltre un miliardo di dollari di valutazione) e ha una forte attrattiva per gli imprenditori moderni, motivati dal desiderio di successo rapido e dirompente.

L’unicorno rappresenta lo status quo, il modello dominante. È metafora della rarità statistica del valore di una startup in borsa e, quindi, descrive un modello imprenditoriale in cui il controllo e il potere sono concentrati al vertice, nelle mani degli azionisti. Il risultato sono società a scopo di lucro, come quelle delle piattaforme, il cui unico obiettivo è una crescita rapida e statisticamente dirompente per aumentare il valore delle azioni e non sempre costruire strutture aziendali ben amministrate. Spesso questa crescita indiscriminata rende molto fragili le aziende che puntano a questi obiettivi.

Critiche all’utopia neoliberista

Economisti come Mariana Mazzucato e Joseph Stiglitz sottolineano come il modello neoliberista presenti notevoli limiti.

Mazzucato critica la Silicon Valley per l’appropriazione del valore prodotto collettivamente (infrastrutture statali come internet) a vantaggio privato. Inoltre, sottolinea che uno degli elementi più controversi del mito della Silicon Valley è la figura del self-made man che da solo riesce a trasformare un’impresa nata in un garage in un successo mondiale. Anche se sembra essere un risultato individuale, il successo di una startup è una storia di molte persone a causa dei vari stakeholder coinvolti nel suo percorso: il team, gli investitori, i mentori, la comunità, la rete e le connessioni all’interno del settore e del mercato.

Stiglitz, invece, evidenzia come la disuguaglianza crescente, che generano modelli economici basati puramente sul profitto, ostacoli la crescita economica. La disuguaglianza non è solo moralmente problematica, ma ha anche effetti negativi sull’economia complessiva, poiché i ricchi, nel perseguimento del loro interesse personale, usano la loro influenza politica per modellare politiche che esacerbano ulteriormente la disuguaglianza.

Un altro elemento critico del modello unicorn company consiste nel fatto che fino al 90% delle startup fallisce, con circa il 10% che fallisce entro il primo anno e il 70% che fallisce entro gli anni dal secondo al quinto. In un contesto in cui la maggior parte delle startup è destinata a fallire, avere una exit strategy ben definita diventa fondamentale. Se l’exit strategy manca, il fallimento della startup e la pressione per l’autosfruttamento portano all’isolamento degli imprenditori.

Un nuovo approccio dentro le dinamiche neoliberiste: “think like a camel”

Proposto da Alexandre Lazarow nel 2020, il “cammello” è simbolo di resilienza e adattabilità, un modello per startup che perseguono una crescita sostenibile, adattandosi anche in ambienti ostili. Le aziende cammello puntano a stabilità e diversificazione, anziché a una rapida espansione.

Il cammello ha, quindi, basi più stabili ed è una metafora legata alla resistenza in ambienti avversi, dove anche gli azionisti servono per rafforzare la sostenibilità aziendale e non per far crescere il valore delle azioni. I cammelli di solito sono società a solo scopo di lucro con l’obiettivo di una crescita equilibrata basata sulla diversificazione dei modelli di business.

Il principale limite di questo modello è che, come nel caso delle unicorn company, il successo è misurato solo sul valore economico, anche se a lungo termine.

Una critica aperta all’utopia neoliberista: Zebra Unite

Zebras Unite (2016) è un movimento che propone un modello di business etico e inclusivo, in contrasto con l’unicorno. Le “imprese zebra” si concentrano su sostenibilità e impatto sociale, e favoriscono modelli cooperativi. La zebra rappresenta una startup più radicata, che pone al centro principi di mutualismo e resilienza.

La zebra è una metafora legata alle minoranze di solito escluse dal modello start up. In questo caso, il potere e il controllo dell’impresa sono nelle mani delle persone che la costituiscono e gli investimenti spesso si realizzano sotto forma di crowdfunding. Inoltre, le imprese mettono al centro una forte attenzione all’impatto che hanno sulla società e sull’ambiente. Le società costituite possono essere anche cooperative con l’obiettivo di coniugare un approccio equilibrato e sostenibile con principi come il mutualismo e la resilienza.

Il rischio di queste imprese è che dato che molti progetti, in quanto fortemente connotati a livello valoriale, si basano sul consumo critico, faticano a essere economicamente sostenibili sul medio-lungo termine.

La via cooperativa contro la retorica del self-made man: Pegasus enterprise

La metafora di Pegaso (2017) descrive una cooperativa che unisce l’autonomia lavorativa alla forza collettiva. Questo modello si contrappone alla retorica del self-made man, mettendo al centro la comunità e garantendo a lavoratori e lavoratrici un controllo democratico sui mezzi di produzione. Esempi di queste “imprese Pegaso” sono cooperative come Doc Servizi, che garantiscono migliori condizioni di lavoro ai freelance dando loro l’opportunità di avere nel contempo tutti vantaggi del lavoro dipendente.

La metafora di Pegaso descrive la visione ideale del modello che cooperativo che mette al centro le persone. Il potere e il controllo dell’impresa nelle mani della base sociale secondo il principio democratico “una testa, un voto”. Le società sono cooperative costituite con l’obiettivo di rendere più sostenibili le carriere di chi è di solito isolato nel mercato del lavoro grazie alle dinamiche collettive e mutualistiche, ma senza negare la spinta individuale tipica della nostra società.

Il principale limite di queste cooperative è che ad oggi rappresentano numeri molto piccoli (circa 60.000 persone in Europea) ed essendo sistemi organizzativi molto innovativi, combinando la libertà del freelance con i diritti del lavoro dipendente, i loro modelli non sono sempre compresi e riconosciuti.

Confronto tra i modelli

L’”unicorno” rappresenta il modello tradizionale di startup dominato dall’espansione aggressiva, concentrato sul profitto e con un alto rischio di fragilità strutturale. Il “cammello” punta alla sostenibilità finanziaria, pur mantenendo un focus esclusivo sul profitto. La “zebra“, invece, dà priorità all’impatto sociale ed è più inclusiva, anche se questo limita la sostenibilità economica delle imprese. Infine, “Pegaso” rappresenta il modello cooperativo, centrato sul benessere collettivo dei membri, ma poco riconosciuto a livello istituzionale.

Le nuove metafore propongono alternative al mito neoliberista della Silicon Valley, evidenziando approcci più sostenibili, equi e inclusivi. In particolare il modello zebra e Pegaso oltre a rappresentare una risposta ai limiti dell’utopia neoliberista, offrono visioni di business che non puntano solo alla crescita finanziaria, ma anche al miglioramento sociale e ambientale.


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