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Venerdì 11 ottobre la direttrice della Fondazione Centro Studi Doc Francesca Martinelli è intervenuta sul tema cooperative e piattaforme per il panel “Cambiare le regole del gioco? Si può fare. Dalle soluzioni a nuove istituzioni” del gdblab delle Giornate di Bertinoro. L’incontro, moderato da Flaviano Zandonai, Consorzio CGM, ha visto anche la partecipazione di Mariella Stella, Fonder Casa Neutral, Annibale D’Elia, Direttore della Direzione di Progetto Economia Urbana, Moda e Design del Comune di Milano, Luca Barretta, sociologo digitale. Di seguito l’intervento completo della direttrice e a seguire il video dell’intero panel.

Un excursus storico

Per parlare del rapporto tra cooperative e piattaforme bisogna tornare indietro di qualche anno e ricordare il concetto di sharing economy, l’economia della condivisione, introdotto per la prima volta nel 2011 in un Ted Talk. La sharing economy nasce dall’obiettivo di condividere quei beni sottoutilizzati (come trapani, videocassette…) e in poco tempo diventa un modello attorno al quale si sviluppano piattaforme e applicazioni per scambiare beni e servizi su base gratuita, volontaria o di scambio.

In breve tempo, gli imprenditori della Silicon Valley comprendono le opportunità di business che offre questo modello e creano applicazioni che permettono lo scambio di beni e servizi trattenendo una quota sull’interazione sociale che avviene sulla piattaforma. Tra queste troviamo le note Uber e Airbnb, o Amazon MechanicalTurk e TaskRabbit che coinvolgono lavoratori e lavoratrici freelance per svolgere piccoli task.

Anche se questo modello economico nasce con i migliori propositi, in breve tempo le piattaforme più grandi finiscono per snaturare i principi della loro origine e generare nuovi problemi che coinvolgono lavoratori e lavoratrici, consumatori, enti locali e nazionali. Nasce, infatti, l’economia dei lavoretti, la gig economy, che sfrutta chi lavora. Non è poi chiaro il modo in cui sono utilizzati i dati e gli algoritmi da parte delle piattaforme, il profitto è concentrato in poche mani, le società attuano forme di dumping contrattuale e spesso non pagano le tasse dove operano creando sistemi di gestione e amministrazione molto opachi.

Negli anni, di fronte a tutti questi problemi e alla mancanza di regolamentazione si osservano diverse reazioni. C’è chi si scontra direttamente con le piattaforme attraverso atti di protesta, chi tenta il confronto legale facendo causa alle aziende e proponendo nuove leggi e chi propone vie alternative, come quella delle “piattaforme cooperative”.

Il concetto di piattaforma cooperativa è introdotto nel 2014 dall’attivista e ricercatore Trebor Scholz con lo slogan “cloniamo il cuore delle piattaforme e trasformiamole in cooperative”. Il principio è quello di risolvere tutti i problemi summenzionati attraverso la creazione di cooperative possedute da lavoratori, lavoratrici, consumatori, città, sindacati. Nel corso degli anni si crea un movimento attorno a questo concetto nel quale si riconoscono cooperative di lungo corso e imprenditori e imprenditrici del mondo digitale che decidono di abbracciare questo modello per contrastare le derive della sharing economy e trovare nuove modalità di lavoro.

Flaviano Zandonai e Francesca Martinelli

Ora che siamo nel 2024, quindi 10 anni dopo, come si configura il rapporto tra cooperative e piattaforme?

Il primo dato da osservare è che il repository del consorzio internazionale delle piattaforme cooperative conta 638 progetti in 53 paesi. Si tratta, quindi, di un numero piuttosto esiguo considerando che il movimento internazionale delle cooperative conta oltre 3 milioni di cooperative in tutto il mondo. Il fatto che sia rimasto un settore di nicchia è legato a diversi elementi che, pur potendo essere validi dal punto di vista teorico, si sono rivelati problematici nel corso degli anni.

In primo luogo, troviamo la fragilità del modello economico e di business proposto dalla visione di Scholz. Nonostante negli anni l’attenzione allo slogan iniziale si sia smorzata, il porre al centro la piattaforma tecnologica, facendone il punto di partenza di ogni riflessione, può essere problematico in ambito cooperativo. È noto che i modelli di business delle principali piattaforme prevedono la vendita di dati, il monopolio del mercato e la vendita di pubblicità. Nessuno di questi è un modello utilizzato dalle cooperative. Questo non significa che le cooperative non possano farlo, ma sicuramente quando si trova una cooperativa che fa una di queste tre cose, è un’eccezione.

Inoltre, è emerso che le piattaforme cooperative non sono una soluzione per tutti i gig worker. Considerando ad esempio il caso emblematico dei rider, vi sono certi casi in cui i lavoratori delle piattaforme creano con successo una cooperativa, sempre con dimensioni locali, ma anche casi di fallimento che andrebbero studiati meglio. Il problema principale è che trasformare quello che viene chiamato “lavoretto” in un lavoro implica passione, coraggio, spirito imprenditoriale e una serie di competenze specifiche e trasversali, ma alle volte i gig worker vogliono solo andare in bicicletta e non gestire un’attività.

Un altro elemento sul quale è diventato sempre più necessario interrogarsi è se cambiando la governance si cambi effettivamente la natura della piattaforma. Si sono palesati casi, infatti, in cui essere una cooperativa si è rivelato più un fattore estetico che fattivo nel momento in cui è presente una piattaforma. Questo accade perché le dinamiche democratiche tipiche delle cooperative non si replicano automaticamente sulle piattaforme, dato che non non sempre la base sociale coincide con l’utenza che utilizza la piattaforma. Ciò può far venir meno il patto mutualistico alla base delle cooperative e la coincidenza tra proprietà dei mezzi di produzione, la piattaforma, esercizio del potere e utilizzo della stessa.

Infine, emerge dalle ricerche sul campo anche un rapporto peculiare tra cooperative e piattaforme. Partendo dal presupposto che l’innovazione digitale e tecnologica sono fondamentali e necessarie anche per l’evoluzione delle imprese cooperative, bisogna anche ricordare che ci sono cooperative che affrontano mercati paralleli a quelli delle grandi piattaforme senza avere una piattaforma o uscendo direttamente dalle logiche delle piattaforme classiche.

Dopo questa analisi, è lecito chiedersi se abbia ancora senso parlare di cooperative e piattaforme.

Tenendo a mente i punti critici segnalati, non solo è importante, ma necessario. Soprattutto perché i pronostici vedono un continuo aumento delle professioni che saranno svolte tramite piattaforma. È vero che noi pensiamo spesso solo ai gig worker, ma in realtà già oggi ci sono molti professionisti e professioniste, come chi lavora nel settore sanitario che sono coinvolti, insegnanti, psicologi e psicologhe, artisti e artiste…tanto che l’Unione Europea prevede che entro il 2025 saranno 43 milioni le persone che lavoreranno su piattaforma e, quindi, che, potenzialmente, saranno vittima a loro volta dei problemi che affliggono i gig worker. Oltre al tema importantissimo delle regolamentazioni, dove l’Unione Europea ha un ruolo pioniere nel mondo, anche le cooperative possono giocare un ruolo centrale, soprattutto per cambiare le regole del gioco e anche entrare con maggiore incisività nel dibattito sull’istituzione di nuove regole contro le disuguaglianze, in questo caso create dalle piattaforme classiche. Ma come?

Il passaggio fondamentale consiste nel ribaltare il punto di vista dal quale è partito il ragionamento su cooperative e piattaforme dieci anni fa. Lo studio del rapporto tra cooperative e piattaforme, infatti, dimostra sia che non in tutti i casi è necessario integrare una piattaforma per portare avanti una visione imprenditoriale alternativa ai paradigmi dominanti delle grandi piattaforme sia che il modo in cui le cooperative lavorano con il digitale è molto più ampio e variegato dell’introduzione di una piattaforma di scambio.

Ne segue che ciò che conta è la scelta organizzativa, mentre la tecnologia è solo uno strumento che può, pertanto, variare ed evolvere a seconda delle esigenze. In sostanza, il valore aggiunto che il modello cooperativo può portare al dibattito sulle piattaforme non è tanto l’attenzione alla piattaforma, quanto l’insieme di valori e principi utilizzati per costruire le piattaforme. Il principio della “tecnologia a tutti i costi” può solo limitare il campo d’azione delle cooperative, portando anche a dimenticare che sono i principi e i valori cooperativi gli indicatori che devono guidarci. Partendo da una chiara visione etica non solo è possibile capire quanto una tecnologia sia effettivamente costruita attorno alle esigenze delle persone, ma anche superare le logiche di sfruttamento o concentrazione della ricchezza che oggi imperano nelle piattaforme dominanti. Valorizzando questo sguardo diverso è possibile agire nello spazio istituente, come direbbe Cornelius Castoriadis, e, quindi, avviare quel percorso necessario per cambiare le regole del gioco.

 


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