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Il 25 ottobre Chiara Chiappa, presidente della Fondazione Centro Studi Doc, ha portato una riflessione sul finto volontariato culturale e volontariato obbligatorio all’evento “Economia sociale, cultura e sviluppo di comunità” organizzato dall’Università di Trento. Di seguito l’intervento della presidente al secondo tavolo dedicato al volontariato culturale.

“Economia sociale, cultura e sviluppo di comunità” all’Università di Trento

Nel pomeriggio di venerdì 25 ottobre, l’Università di Trento ha ospitato l’incontro “Economia sociale, cultura e sviluppo di comunità. La professoressa Silvia Sacchetti ha organizzato l’evento presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale. L’evento si colloca nel quadro del programma “Trento, capitale europea del volontariato”. Tra i molti temi trattati, troviamo anche la partecipazione alla cultura, le strategie per valorizzare il territorio e il ruolo del volontariato culturale nel rafforzare l’identità e la coesione sociale. Nello specifico, le due tavole rotonde del pomeriggio riguardavano:

  1. I festival culturali come organizzazioni di comunità e spazi di innovazione;
  2. Il volontariato culturale.

A quest’occasione hanno partecipato diverse personalità esperte del terzo settore. Tra queste, era presente anche Chiara Chiappa, presidente della Fondazione Centro Studi Doc, con una riflessione sul finto volontariato culturale. Inoltre, la professoressa Sacchetti ha introdotto l’evento presentando con Marco di Stasio il progetto di ricerca “Le attività culturali e la vitalità dei territori”. Lo studio osserva i festival trentini attraverso la lente della vitalità. In altre parole, si concentra sulla capacità delle persone di comprendere, dare forma e realizzare ciò a cui danno valore, con esiti autorealizzanti e generativi di bene comune. Partendo da una pubblicazione del 2020 della stessa professoressa Sacchetti, l’analisi mette a confronto tre casi studio esemplari su una scala da “inedia o attività estrattive (che non creano benessere)” a “vitalità diffusa: attività generative di bene comune”. Di conseguenza, nei diversi interventi non solo sono state presentate le realtà osservate dallo studio, ma si è anche dato al pubblico gli strumenti di osservazione delle attività culturali e della partecipazione a esse.

La degenerazione del volontariato culturale in finto volontariato culturale

L’intervento di Chiara Chiappa è partito dalla considerazione di cultura, arte e spettacolo come bisogni primari, al pari della scuola, della salute e della sicurezza. Di conseguenza, come indicato dalla tavola rotonda, il volontariato culturale è fondamentale per sostenere e promuovere la cultura e l’identità delle comunità, la relazionalità e connettività sociale, portare contaminazioni ampliando le esperienze personali e le sinergie tra organizzazioni. Tuttavia, la produzione culturale e l’educazione artistica non possono essere affidate solo al volontariato. La persona che svolge attività di volontariato, infatti, lo fa in modo personale, spontaneo e gratuito, e proprio per questo senza obblighi né di presenza né di risultato.

La Pubblica Amministrazione affiderebbe mai la costruzione di ponti e strade a volontar*, per cui non è dovuta la certificazione delle competenze? O la sicurezza delle strade a persone volontarie senza formazione? Al contrario, all’interno del settore culturale, sono molteplici le attività che vengono affidate al lavoro gratuito del finto volontariato culturale, o volontariato “obbligatorio” con promessa o speranza di future assunzioni, mentre restano disoccupat* laureat* in storia dell’arte, scienze archivistiche, archeologia, beni culturali, musicist*, attrici e attori, danzatrici e danzatori, creativ*, ma anche insegnanti di musica e teatro ecc. Forse la cultura e l’educazione sono meno importanti? Cosa saremmo tutti e tutte noi senza arte e cultura?

Purtroppo, il lavoro gratuito, povero e ricattato è il carburante che alimenta l’intera industria culturale italiana. Essendo un ambito con poche risorse pubbliche, nonostante la sua importanza per la qualità della vita di persone e comunità, il suo costo grava soprattutto sulle spalle delle persone e delle famiglie, perché lo Stato ancora non si fa carico di sostenerne i costi se non con briciole e interventi precari e discontinui. Qualcuno ancora sostiene che la cultura dovrebbe portare soldi al turismo e alle città, anziché invece riceverne contributi per una sua continua crescita: la conseguenza è che – come spesso succede – le economie vengono risparmiate erodendo diritti e compensi a lavoratrici e lavoratori.  A tal proposito, una ricerca condotta nel 2018 dalla Fondazione Centro Studi Doc ha valutato in 4 miliardi il mancato gettito fiscale e contributivo per lavoro nero o grigio della musica live. Si tratta di lavoro nero mascherato spesso da finto volontario gratuito, retribuito con finti rimborsi spese.

Il finto volontariato culturale viola diritti costituzionali

  1. Il volontariato obbligatorio viola il diritto al lavoro, al rispetto, alla sicurezza e protezione sociale dei volontari e delle volontarie stess*, nei casi in cui siano disoccupat* che in mancanza di un lavoro accettano di lavorare gratuitamente per “imparare”, per farsi conoscere, per ingraziarsi i committenti, accettano un autosfruttamento addirittura legalizzato: basterà ricordare l’accordo tra i sindacati e i manager dell’Expo milanese che consentiva il lavoro volontario dei giovani in cambio di una aleatoria occasione di esperienza e visibilità. Si parlò a quel tempo di «economia politica della promessa», perché la retribuzione consisteva nella speranza di un successo a venire.
  2. Il volontariato svolto da addett* non professionist* viola il diritto a un’offerta culturale di qualità, compresa l’educazione artistica, mancando per i volontari e le volontarie un obbligo di presenza oltre che di certificazione delle competenze per chi si occupa di cultura, educazione, spettacolo. Il volontario o la volontaria per definizione svolge attività volontariamente e senza compenso e, quindi, senza obbligo di presenza, di risultato e senza un obbligo contrattuale del “fare”. Alla volontaria o al volontario non possono essere addebitate mancanze, incompetenze o assenze.

Sono frequenti le richieste di prestazioni a titolo gratuito definito “volontariato” ad artist*, critic*, scrittori e scrittrici e intellettuali, di interventi e partecipazioni a dibattiti, tavole rotonde ed eventi culturali, per non parlare di articoli e recensioni. Tutti incarichi che richiedono tempo e fatica, sottratto ad altre attività o al proprio tempo libero.

Cosa può fare il mondo del volontariato per contrastare il fenomeno del finto volontariato culturale?

Il volontariato non deve essere impiegato per erogare servizi essenziali. Al contrario, deve comunicarepromuovere e valorizzare i valori costituzionali della cultura, dell’ambiente, del diritto alla salute, al lavoro, all’educazione, all’equità, alla solidarietà, senza sostituirsi ai lavoratori e alle lavoratrici nello svolgimento dei servizi essenziali. In altre parole, non può:

  • svolgere servizi essenziali in cambio di finti rimborsi spese o finti part time;
  • erogare servizi di primaria importanza come cultura, educazione, salute, che devono essere affidati a professionist*.

Secondo la Risoluzione del 1999 della Commissione Cultura del Parlamento Europeo,

“Il vigore della produzione artistica dipende dal benessere degli artisti in quanto individui e in quanto collettività.”

Di conseguenza, il lavoro culturale deve comportare equa retribuzione, contratti e sicurezza sul lavoro, protezione sociale e riconoscimento professionale.  

L’affidare i servizi del lavoro culturale al finto volontariato culturale implica invece il non riconoscimento di queste attività come lavoro, ma come hobby, come un’attività effimera e aleatoria affidata solo alla passione e spontaneità.

Per ovviare alle cattive pratiche di costringere finti volontari e volontarie a occuparsi di servizi essenziali, il Codice del Terzo Settore del 2017 ha introdotto alcune modifiche importanti:

  • l’impossibilità di essere sia volontar* sia lavoratori o lavoratrici, eliminando quindi il finto part time;
  • eliminazione di rimborsi forfait e un limite ai rimborsi autocertificati;
  • applicazione di Contratti collettivi nazionali al personale dipendente assunto.

Purtroppo però il Codice ha anche penalizzato gli operatori professionisti non volontari. In particolare, quando ha previsto (artt.55-57) il diritto di precedenza nella pianificazione, programmazione e affidamento di servizi di interesse generale della Pubblica Amministrazione agli enti del Terzo Settore che devono svolgere la maggior parte del lavoro con volontari e volontarie, nel caso di offerte di servizi economicamente più vantaggiosi dei soggetti profit. Di fatto favorendo l’effettuazione di servizi sociali e culturali da parte di volontari.


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