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Dal 3 al 5 ottobre a Narni, in provincia di Terni, si è svolta la nona edizione del Festival della Sociologia intitolata “Nelle disuguaglianze quale società?”. La Fondazione Centro Studi Doc è stata invitata a partecipare all’antemprima del festival dedicata alle dimensioni sociopolitiche e territoriali delle disuguaglianze. In particolare, all’incontro su “L’intelligenza artificiale e il reddito di base universale” moderato da Guido Cavalca e Gianni Giombolini e con interventi di Giuseppe Allegri, Ugo Carlone, Ermes Maiolica, Francesca Martinelli, Maristella Cacciapaglia. Anche se la direttrice non ha potuto partecipare di persona, è stato letto il suo commento sul tema.

Al Festival della Sociologia una riflessione sull’impatto dell’IA sul mondo del lavoro

Nel 2013 il celebre studio di Frey e Osborne, osservando la società statunitense, pronosticava che il 47% delle professioni sarebbero state automatizzate nel corso dei successivi 15-20 anni. Se questa cifra, considerando gli effetti ritardati dell’industria 4.0, per un certo periodo è apparsa forse iperbolica, con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale ha assunto un nuovo significato.

Sul mondo del lavoro ha un peso importante soprattutto l’IA generativa, che permette di creare un prodotto originale (testuale, grafico, video, musicale, …) a partire dalle richieste dell’utente. Il suo impatto può quindi essere importante, come prevede anche il Fondo Monetario Internazionale, secondo il quale l’IA potrebbe condizionare il mondo del lavoro per almeno il 40%, salendo al 60% nel caso delle economie avanzate. Mentre, a causa della riduzione del tempo di svolgimento di alcune mansioni, Ernst&Young pronostica licenziamenti e assunzioni nelle aziende tecnologiche, proprio per aumentare la forza lavoro impegnata in questi nuovi settori.

Di fronte a pronostici, come quello del World Economic Forum del 2023 che prevedeva che nel giro di cinque anni svaniranno 83 milioni di posti di lavoro, mentre il digitale ne creerà 69 milioni, la domanda da porsi è se l’avvento dell’IA stia minacciando il lavoro.

Sicuramente lo sta cambiando, e, come per ogni cambiamento avvenuto negli ultimi secoli nel mercato del lavoro, la possibilità di restarci dentro dipende dalla capacità di attraversare questi cambiamenti. Nel mondo dei freelance, ad esempio, una ricerca del 2023 dell’UpWork Research Institute, evidenzia come al contempo vi siano stati in tutto il mondo una diminuzione delle richieste di lavoro pari al 211% a causa dell’avvento dell’IA generativa e un aumento dei compensi per circa il 20% dei freelance che la utilizzano regolarmente.

Questo doppio binario è legato al tema delle competenze, perché l’IA arriverà sì a sostituire le attività routinarie, ma non sostituirà mai il fattore umano. Come evidenzia uno studio INAPP appena uscito e dedicato all’impatto dell’IA sul mercato del lavoro italiano, in particolare, i lavori che richiedono competenze relazionali, responsabilità su altri lavoratori e lavoratrici, bisogno di prossimità e capacità di affrontare situazioni di criticità, non potranno essere demandati all’IA.

Quindi, nonostante le apparenze e le paure di molti, in realtà l’IA non andrà davvero a modificare i pronostici su come evolverà il mondo del lavoro e sulle competenze che serviranno, poiché come scriveva già nel 2015 Andrea Fumagalli, il futuro del lavoro sarà rappresentato da “Un terziario immateriale legato alla creazione e alla circolazione degli immaginari, dei linguaggi e dei simboli (editoria, media, software, design, servizi finanziari e immobiliari, ecc.)” o ancora Domenico De Masi ne Il lavoro nel XXI secolo del 2018 scriveva: “Creatività, empatia e coraggio saranno le qualità più richieste”. È, infatti, da anni che nel mondo del lavoro si è consapevoli del valore di soft skills come il pensiero analitico e critico, la resilienza, la persuasione, la creatività e il problem solving, con un occhio di riguardo a tutte le professioni creative che sono quelle a minor rischio di automazione.

Il dibattito che riapre l’IA è piuttosto quello sulla liberazione del tempo e sulla ridistribuzione della ricchezza prodotta. Secondo McKinsey, infatti, l’adozione e i progressi nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale e della Robotica immetteranno nell’economia globale circa 13 trilioni di dollari entro il 2030, con il 70% delle imprese che avrà abbracciato la rivoluzione dell’IA.

Mettendo al centro in modo ancora più evidente il fattore umano come chiave di volta nel mondo del lavoro, l’IA può diventare allora un nuovo strumento per riaprire la riflessione su come modificare la nostra società verso prospettive non puramente capitalistiche.

Sul tema del tempo liberato, come anticipava già André Gorz in Addio al lavoro, il fatto che il lavoro in una società digitale richieda un alto livello di empowerment, che vede la cultura assumere un ruolo essenziale nei processi produttivi, rende necessario introdurre modelli di vita che permettano di dare spazio allo sviluppo delle persone. Gorz, ad esempio, propone il reddito di base come strumento per alimentare l’azione sociale priva di profitto, lo spazio del gratuito e della relazione e la dimensione della cura. Oggi, forse, potremmo spingerci fino a parlare del bisogno di introdurre un welfare universale.

In merito invece alla ridistribuzione della ricchezza, lo strumento principe è quello delle cooperative e delle diverse forme di mutualismo nel mondo del lavoro in generale. Come già scrivevano nel 2013 Allegri e Ciccarelli ne Il Quinto Stato, negli ultimi decenni, si osserva chiaramente un’ascesa delle organizzazioni di autogestione soprattutto di fronte all’impoverimento del lavoro. Seppur osteggiate dal capitalismo pur essendone un suo frutto, le cooperative in particolare possono essere uno strumento molto potente proprio perché mettono al centro la persona e le sue competenze, inserendola dentro una dinamica collettiva. Anche con l’uso di strumenti digitali, che oggi pongono anche diverse domande etiche (come i pregiudizi generati proprio dalle IA), i valori e i principi delle cooperative possono diventare un faro guida verso percorsi che rispettino le persone, i lavoratori e le lavoratrici. Infatti, la corrispondenza tra chi possiede la cooperativa e chi vi lavora è un punto di forza innegabile che risolve la maggior parte dei conflitti che possono emergere in un mondo del lavoro sempre più digitalizzato, anche garantendo un’equa ridistribuzione della ricchezza prodotta.

In conclusione, modelli di lavoro alternativi, come quello cooperativo, possono offrire una risposta concreta per affrontare le sfide future, promuovendo un equilibrio tra innovazione tecnologica e dignità del lavoro. Una dignità del lavoro che bisogna garantire anche e soprattutto quando si introducono tecnologie che possono riscrivere le regole del lavoro stesso.

 

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